SOLUZIONI

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L'INDOVINA DE LE CARTE

 

- Pe' fà le carte quanto t'ho da dà?
-- Cinque lire. -- Ecco qui; bada però<
che m'hai da dì la pura verità...
-- Nun dubbitate che ve la dirò.
Voi ciavete un amico che ve vò
imbrojà ne l'affari. -- Nun po' stà
perché l'affari adesso nu' li fo.
-- Vostra moje v'inganna. -- Ma va' là!!

So' vedovo dar tempo der cuccù!
-- V'arimmojate. -- E levete de qui! Ce so' cascato e nun ce casco più!

-- Vedo sur fante un certo nun so che...
Ve so state arubbate... -- Oh questo sì:
le
cinque lire che t'ho dato a te.

LA CARTOMANTE


-- Per fare le carte quanto chiedi?
-- Cinque lire. -- Ecco qui; bada però<
che mi devi dire la pura verità...
-- Non dubitate, ve la dirò.

Voi avete un amico che vi vuole
imbrogliare negli affari. -- È impossibile
perché affari adesso non ne faccio.
-- Vostra moglie vi inganna. -- Ma va' là!

Sono vedovo da tempo immemorabile!
-- Vi riammogliate. -- E togliti di quii!
Ci son cascato e non ci casco più!

Vedo sul fante un certo non so che...
Vi sono state rubate... -- Oh questo sì:
la cinque lire che ho dato a te.

LISETTA CÓR SIGNORINO

 

Su, me faccia stirà la biancheria,
dia confidenza a chi je pare e piace:
nun me faccia inquietà, me lassi in pace:
la pianti, signorino, vada via...

Che straccio de vassallo, mamma mia!
No, levi quela mano, me dispiace,
se no lo scotto, abbadi so capace...
Dio, che forza che cià! Gesummaria!

Un bacio?.. È matto! No, che chiamo gente:
me lo vò da' pe' forza o per amore!
Eh! je l'ha fatta! Quanto è propotente!

Però... te n'è costata de fatica!
Dimme la verità, co' le signore
'sta resistenza nu' la trovi mica!

LISETTA CON IL SIGNORINO [1]


Su, mi faccia stirare la biancheria,
dia confidenza a chi le pare e piace:
non mi faccia adirare, mi lasci in pace:
la finisca, signorino, vada via...

Che gran birbante, mamma mia.
No, tolga quella mano, mi dispiace,
altrimenti la brucio, badi che ne sono capace...
Dio, che forza ha! Gesù e Maria!

Un bacio?.. È matto! No, o chiamo gente:
me lo vuole dare per amore o per forza!
Eh! Ce l'ha fatta! Quanto è prepotente!

Però... Te n'è costata di fatica!
Dimmi la verità, con le signore
Questa resistenza non la incontri mica!

[1] · Tipico quadretto
borghese, il tentativo di seduzione
della servetta da parte del "signorino" di turno, che va
a segno: dal distaccato "lei" si passa ad un più confidenziale
"tu" nell'ultima terzina ...dopo il bacio!

ER PRINCIPE RIVOLUZZIONARIO
parla er cammeriere


Quanno fa li discorsi, ciacconsento,
è rivoluzzionario e te l'ammetto:
ma quanno che nun parla cambia aspetto,
diventa de tutt'antro sentimento.

È a casa che succede er cambiamento:
povero me, se manco de rispetto!
o se ner daje un fojo nu' lo metto
come vò lui, ner gabbarè d'argento!

T'abbasti questo: quando va in campagna
a fa' le conferenze ner comizzio
la moje sua la chiama: la compagna.

La compagna? Benissimo: ma allora
perché co' le persone de servizzio
la seguita a chiamà: la mia signora?

IL PRINCIPE RIVOLUZIONARIO
parla il cameriere


Quando tiene i discorsi, è vero,
è rivoluzionario, lo ammetto:
ma quando non parla cambia aspetto,
diventa di tutt'altro umore.

È a casa che avviene il cambiamento:
povero me, se manco di rispetto!
o se nel dargli un foglio non lo metto
come vuole lui, nel vassoio d'argento!

Ti basti questo: quando va in campagna
a tenere le conferenze nei comizi
sua moglie la chiama: la compagna.

La compagna? Benissimo: ma allora
perché con le persone di servizio
continua a chiamarla: la mia signora?

DISPIACERI AMOROSI


Lei, quanno lui je disse: -- Sai? te pianto... --
s'intese gelà er sangue ne le vene.
Povera fija! fece tante scene,
poi se buttò sul letto e sbottò un pianto.

-- Ah! -- diceva -- je vojo troppo bene!
Io che j'avrebbe dato tutto quanto!
Ma c'ho fatto che devo soffrì tanto?
No, nun posso arisiste a tante pene!

O lui o gnisuno!... -- E lì, tutto in un botto,
scense dar letto e, matta dar dolore,
corse a la loggia e se buttò de sotto.

Cascò de peso, longa, in mezzo ar vicolo...
E mò s'è innammorata der
dottore
perché l'ha messa fòri de pericolo!

DISPIACERI AMOROSI


Quando lui le disse -- Sai? Ti lascio...--
lei sentì il sangue gelarsi nelle vene.
Povera figlia! Fece tante scene,
poi si gettò sul letto e scoppiò a piangere.

-- Ah! -- diceva -- gli voglio troppo bene!
Io che gli avrei dato tutto quanto!
Ma cosa ho fatto per soffrire tanto?
No, non posso resistere a così grandi pene!

O lui o nessuno!... -- E lì, all'improvviso,
scese dal letto e, pazza di dolore,
corse alla loggia e si lanciò di sotto.

Cadde di peso, lunga, in mezzo al vicolo...
E adesso s'è innamorata del dottore
perché l'ha messa fuori
pericolo!

LA POLITICA


Ner modo de pensà c'è un gran divario:
mi' padre è democratico cristiano,
e, siccome è impiegato ar Vaticano,
tutte le sere recita er rosario;

de tre fratelli, Giggi ch'er più anziano
è socialista rivoluzzionario;
io invece so' monarchico, ar contrario
de Ludovico ch'è repubbricano.

Prima de cena liticamo spesso
pe' via de 'sti principî benedetti:
chi vò qua, chi vò là... Pare un congresso !

Famo l'ira de Dio ! Ma appena mamma
ce dice che so' cotti li spaghetti
semo tutti d'accordo ner programma.
(1915)

LA POLITICA


C'è una gran varietà di opinioni:
mio padre è democratico cristiano,
e poiché è impiegato al Vaticano,
tutte le sere recita il rosario;

di tre fratelli, Luigi il più anziano
è socialista rivoluzionario;
io invece sono monarchico, al contrario
di Ludovico, che è repubblicano.

Prima di cena litighiamo spesso
per via di questi benedetti principî:
chi vuole qua, chi vuole là... Sembra un congresso !

Facciamo il finimondo ! Ma appena mamma
ci dice che sono cotti gli spaghetti
siamo tutti d'accordo nel programma.
(1915)

LA DIPROMAZZIA


Naturarmente, la Dipromazzia
è una cosa che serve a la nazzione
pe' conservà le bone relazione,
co' quarche imbrojo e quarche furberia.

Se dice dipromatico pe' via
che frega co' 'na certa educazzione,
cercanno de nasconne l'opinione
dietro un giochetto de fisionomia.

Presempio, s'io te dico chiaramente
ch'ho incontrato tu' moje con un tale,
sarò sincero sì, ma so' imprudente.

S'invece dico: -- Abbada co' chi pratica...
Tu resti co' le corna tale e quale
ma te l'avviso in forma dipromatica.

LA DIPLOMAZIA


Naturalmente, la diplomazia
è una cosa che serve alla nazione
per conservare le buone relazioni,
con qualche imbroglio e qualche furberia.

Si dice diplomatico per via
che inganna con una certa educazione,
cercando di nasconder le opinioni
dietro un gioco di apparenza.

Per esempio, se io ti dico chiaramente
che ho incontrato tua moglie con un tale,
sarò sincero sì, ma sono imprudente.

Se invece dico: -- Attento a chi frequenta...
Tu resti con le corna tale e quale
ma te l'avviso in forma diplomatica.

L'EROE AR CAFFÈ


È stato ar fronte, sì, ma cór pensiero,
però te dà le spiegazzioni esatte
de le battaje che nun ha mai fatte,
come ce fusse stato per davero.

Avressi da vedé come combatte
ne le trincee d'Aragno! Che gueriero!
Tre sere fa , pe' prenne er Montenero,
ha rovesciato er cuccomo del latte!

Cór su' sistema de combattimento
trova ch'è tutto facile: va a Pola,
entra a Trieste e te bombarda Trento.

Spiana li monti, sfonna, spara, ammazza...
-- Per me -- barbotta -- c'è una stradaa sola...
E intigne li biscotti ne la tazza.

(dicembre 1916)

L'EROE AL CAFFÈ


È stato al fronte, sì, ma col pensiero,
però ti dà le spiegazioni esatte
delle battaglie che non ha mai fatte,
come vi fosse stato per davvero.

Dovresti vedere come combatte
nelle trincee d'Aragno
[1] ! Che guerriero!
Tre sere fa , per prendere il Montenero,
ha rovesciato il bricco del latte!

Col suo sistema di combattimento
trova ch'è tutto facile: va a Pola,
entra a Trieste e ti bombarda Trento.

Spiana i monti, sfonda, spara, ammazza...
-- Per me -- borbotta -- c'è una stradaa sola...
E intinge i biscotti nella tazza.

(dicembre 1916)

[1] · Aragno era un famoso caffè di Roma, a via del Corso, ritrovo di scrittori, giornalisti e politici.

LA SINCERITA' NE LI COMIZZI


Er deputato, a dilla fra de noi,
ar comizzio ciagnede contro voja,
tanto ch'a me me disse: -- Oh Dio che noja!--,
Me lo disse: è verissimo, ma poi

sai come principiò? Dice: -- È con gioja
che vengo, o cittadini in mezzo a voi,
per onorà li martiri e l'eroi,
vittime der pontefice e der boja!--

E, lì, rimise fòra l'ideali,
li schiavi, li tiranni, le catene,
li re, li preti, l'anticlericali...

Eppoi parlò de li principî sui:
e allora pianse: pianse così bene
che quasi ce rideva puro lui!
(1920)

LA SINCERITA' NEI COMIZI


Il deputato, per dirla fra di noi,
al comizio andò contro voglia,
tanto che mi disse: -- Oh Dio che noia!--,
Me lo disse: è verissimo, ma poi

sai come cominciò? Disse: -- È con gioia
che vengo, o cittadini in mezzo a voi,
per onorare i martiri e gli eroi,
vittime del pontefice e del boia!--

E, lì, ritirò fuori gli ideali,
gli schiavi, i tiranni, le catene,
i re, i preti, gli anticlericali...

E poi parlò dei principî suoi:
e allora pianse: pianse così bene
che quasi ci rideva pure lui!
(1920)

ACCIDIA


In un giardino, un vagabondo dorme
accucciato per terra, rannicchiato,
che nemmeno se ne distingue la forma.

Passa una guardia: -- Andiamo! -- dice -- Cammina! --
Quello si ricompone e gli risponde: -- Bravo! --
Mi svegli proprio a tempo! Sognavo
che stavo lavorando nell'officina!

ACCIDIA


In un giardino, un vagabonno dorme
accucciato per terra, arinnicchiato,
che manco se distingueno le forme.

Passa una guardia: -- Alò! -- dice -- Cammina! --
Quello se smucchia e j'arisponne: -- Bravo! --
Me sveji propio a tempo! M'insognavo
che stavo a lavorà ne l'officina!

IRA


Lidia, ch'è nevrastenica, è capace
che quanno liticamo per un gnente
se dà li pugni in testa, espressamente
perché lo sa che questo me dispiace.

Io je dico: -- Sta' bona, amore mio,
che sennò te fai male, core santo... --
Ma lei però fa peggio, infino a tanto
che quarcheduno je ne do pur'io.

IRA


Lidia, che è nevrastenica,
quando litighiamo per un nonnulla
è capace di darsi i pugni in testa, apposta
perché lo sa che questo mi dispiace.

Io le dico: -- Stai buona, amore mio,
altrimenti ti fai male, cuore santo... --
Ma lei però fa peggio, fino a quando
non glie ne do qualcuno pure io.

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IL CIECO [1]
I


Sull'archetto all'angolo della piazza,
al posto del lampione che vi è adesso,
c'era un Cristo e un Angelo di gesso
che reggeva un lumino in una tazza.

Inoltre c'era un quadro, dove una ragazza
veniva liberata da un'ossesso:
ricordo d'un miracolo accaduto,
sbiadito dalla pioggia e dall'umidità.

Ma una bella mattina il proprietario
tolse l'archetto e tutto quel che c'era,
per darlo a Spizzichino l'antiquario.

Il Cristo andò in Francia, e l'Angioletto
lo prese una signora forestiera
che ci guarnì la camera da letto.


[1] · Serie di quattro sonetti i primi due dei
quali, in chiave brillante,
si contrappongono ai secondi due, in chiave drammatica.

II


E adesso l'Angioletto fa il gaudente
in una bella cameretta rosa,
si atteggia e ride nella stessa posa
con l'ali aperte, spensieratamente.

Non vede più la gente bisognosa
che gli passava davanti anticamente,
dal vecchio storpio al povero pezzente
che gli chiedeva sempre qualche cosa!

Nemmeno gli torna alla memoria
quel cieco che ogni giorno, alla stessa ora,
gli recitava la giaculatoria:

nemmeno quello! L'Angioletto antico
adesso regge il lume alla signora
e assiste a certe cose che non dico!

III


Il cieco camminava rasente al muro
per non urtare contro le persone,
cercando con la punta del bastone
che il passo fosse libero e sicuro.

Non ci vedeva, poveraccio, eppure,
quando avvertiva di voltare l'angolo
borbottava la solita orazione
con gli occhi spenti in quell'archetto buio.

Perchè, si ricordava, da bambino
la madre gli diceva: -- Lì c'è un Cristo,
pregalo sempre e non aver paura...

E lui, nei momenti di bisogno,
lo rivedeva, senza averlo visto,
come una cosa che riluce in sogno...

IV


Da cinque mesi, al posto del lumino
che s'accendeva per l'Ave Maria,
vi hanno messo un lume d'osteria
dove sul trasparente è scritto: Vino.

Ma il cieco crede sempre che vi sia
il Cristo, l'Angioletto e l'altarino,
e nel passare si ferma, fa un inchino,
recita un Pater Nostrum e rivà via...

L'ostessa, che spessissimo ci ride,
gli vorrebbe avvisare che non c'è niente,
ma quanno è al dunque non si sa decidere.

-- In fondo, -- pensa -- quando un uomoo prega
Iddio lo può sentire direttamente
senza guardare l'insegna della bottega.


EL LEONE RICONOSCENTE


Ner deserto dell'Africa, un Leone
che j'era entrato un ago drento ar piede,
chiamò un Tenente pe' l'operazzione.
-- Bravo! -- je disse doppo -- Io t'ariingrazzio:
vedrai che te sarò riconoscente
d'avemme libberato da 'sto strazzio;
qual'è er pensiere tuo? d'esse promosso?
Embè, s'io posso te darò 'na mano...--
E in quela notte istessa
mantenne la promessa
più mejo d'un cristiano;
ritornò dar Tenente e disse: -- Amico,
la promozzione è certa, e te lo dico
perché me so' magnato er Capitano.


IL LEONE RICONOSCENTE


Nel deserto africano, un Leone
al quale era entrata una spina in un piede,
chiamò un Tenente per l'operazione.
-- Bravo! -- gli disse dopo -- Io ti riingrazio:
vedrai che ti sarò riconoscente
per avermi liberato da questo strazio;
qual'è il tuo cruccio? di essere promosso?
Ebbene, se posso ti darò una mano...--
E quella notte stessa
mantenne la promessa
meglio di un uomo;
tornò dal Tenente e disse: -- Amico,
la promozione è certa, e te lo dico
perché mi son mangiato il Capitano.

LE BESTIE E ER CRUMIRO


Una volta un Cavallo strucchione
c'ogni tanto cascava pe' strada
scioperò pe' costringe er Padrone
a passaje più fieno e più biada:
ma er Padrone s'accorse der tiro
e pensò de pijasse un crumiro.

Chiamò er Mulo, ma er Mulo rispose:
-- Me dispiace, ma propio nun posso: se Dio guardi je faccio 'ste cose
li cavalli me sarteno addosso...--
Er Padrone, pe' mette un riparo,
Fu costretto a ricorre ar Somaro.

-- Nun pò sta' che tradisca un compagnoo --
dice er Ciuccio -- so' amico der Mulo --
e pur'io, come lui, se nun magno
tiro carci, m'impunto e rinculo...
Come vòi
che nun sia solidale
Si ciavemo l'istesso ideale?

Chiama l'Omo, e sta' certo che quello
fa er crumiro co' vera passione
Per un sòrdo se venne er fratello,
Pe' du' sòrdi va dietro ar padrone,
finché un giorno tradisce e rinnega
er fratello, er padrone e la Lega.

LE BESTIE E IL CRUMIRO


Una volta un vecchio cavallo
che ogni tanto cadeva per strada
scioperò per costringere il Padrone
a concedergli più fieno e più biada:
ma il Padrone s'accorse del tiro
e pensò di prendersi un crumiro.

Chiamò il Mulo, ma il Mulo rispose:
-- Mi dispiace, ma proprio non posso: se faccio queste cose, Dio ci scampi,
i cavalli mi saltano addosso...--
Il Padrone, per metter riparo,
fu costretto a ricorrere al Somaro.

-- È impossibile che tradisca unn compagno:--
disse l'Asino -- sono amico del Mulo,
e anch'io, come lui, se non mangio
tiro calci, m'impunto e rinculo...
Come vuoi che
non sia solidale
Se abbiamo lo stesso ideale?

Chiama l'Uomo, certo che quello
fa il crumiro con vera passione:
per un soldo si vende il fratello,
per due soldi va dietro al padrone,
finché un giorno tradisce e rinnega
il fratello, il padrone e la Lega.

CARITA' CRISTIANA


Er Chirichetto d'una sacrestia
sfasciò l'ombrello su la groppa a un gatto
pe' castigallo d'una porcheria.
-- Che fai? - je strillò er Prete ner vvedello
-- Ce vò un coraccio nero come er tuo pe' menaje in quer modo... Poverello!...
-- Che? -- fece er Chirichetto -- er gaatto è suo? --
Er Prete disse: -- No... ma è mio l'ombrello!-

CARITA' CRISTIANA


Il Chierichetto di una sacrestia
ruppe l'ombrello sulla schiena ad un gatto
per castigarlo di una porcheria.
-- Che fai? -- gli strillò il Prete nell vederlo
-- Ci vuole un cuore malvagio come il ttuo
per batterlo in quel modo... Poverello!... --
Cosa? -- disse il Chierichetto -- il gatto è suo?
Il Prete disse -- No... ma è mio l'ombrello!

LA GRATITUDINE


Mentre magnavo un pollo, er Cane e er Gatto
pareva ch'aspettassero la mossa
dell'ossa che cascaveno ner piatto.
E io, da bon padrone,
facevo la porzione,
a ognuno la metà:
un po' per uno, senza
particolarità.

Appena er piatto mio restò pulito
er Gatto se squajò. Dico: -- E che fai?
-- Eh, -- dice -- me ne vado, capirai,<
ho visto ch'hai finito... --

Er Cane invece me sartava al collo
riconoscente come li cristiani
e me leccava come un francobbollo.
-- Oh! Bravo! -- dissi -- Armeno tu rimmani! --
Lui me rispose: -- Si, perché domani
magnerai certamente un antro pollo!

LA GRATITUDINE


Mentre mangiavo un pollo, il Cane e il Gatto
sembrava che aspettassero il movimento
delle ossa che cadevano nel piatto.
E io, da buon padrone,
facevo la porzione,
a ognuno la metà:
un po' per uno, senza
parzialità.

Appena il mio piatto retò pulito,
il gatto si defilò. Dico: -- E cosa fai? --
-- Eh, -- dice -- me ne vado, capirai,<
ho visto che hai finito... --

Il Cane invece mi saltava al collo
riconoscente come gli uomini
e mi leccava come un francobollo.
-- Oh! Bene! -- dissi -- Almeno tu rimaani! --
Lui mi rispose: -- Si, perché domani
mangerai certamente un altro pollo!

LA SPADA E ER CORTELLO


Un vecchio Cortello
diceva a la Spada:
-- Ferisco e sbudello
la gente de strada,
e er sangue che caccio
da quele ferite
diventa un fattaccio,
diventa 'na lite...--

Rispose la Spada:
-- Io puro sbudello,
ma faccio 'ste cose
sortanto in duello,
e quanno la lama
l'addopra er signore
la lite se chiama
partita d'onore!

LA SPADA E IL COLTELLO


Un vecchio coltello
diceva alla Spada:
-- Ferisco e sbudello
la gente di strada,
e il sangue che verso
da quelle ferite
diventa un fattaccio,
diventa una lite...--

Rispose la Spada:
-- Io pure sbudello,
ma faccio queste cose
soltanto in duello,
e quando la lama
la usa il signore
la lite si chiama
partita d'onore!

ER TESTAMENTO D'UN ARBERO


Un Arbero d'un bosco
chiamò l'ucelli e fece testamento:
-- Lascio li fiori ar mare,
lascio le foje ar vento,
li frutti ar sole e poi
tutti li semi a voi.
A voi, poveri ucelli,
perché me cantavate le canzone
ne la bella staggione.
E vojo che li stecchi,
quanno saranno secchi,
fàccino er foco pe' li poverelli.
Però v'avviso che sur tronco mio
c'è un ramo che dev'esse ricordato
a la bontà dell'ommini e de Dio.
Perché quer ramo, semprice e modesto,
fu forte e generoso: e lo provò
er giorno che sostenne un omo onesto
quanno ce s'
impiccò.

IL TESTAMENTO DI UN ALBERO [1]


Un Albero di un bosco
chiamò gli uccelli e fece testamento:
-- Lascio i fiori al mare,
lascio le foglie al vento,
i frutti al sole e poi
tutti i semi a voi.
A voi, poveri uccelli,
perché mi cantavate le canzoni
nella bella stagione.
E voglio che gli sterpi,
quando saranno secchi,
facciano il fuoco per i poverelli.
Però vi avviso che sul mio tronco
c'è un ramo che dev'essere ricordato
alla bontà degli uomini e di Dio.
Perché quel ramo, semplice e modesto,
fu forte e generoso: e lo provò
il giorno che sostenne un uomo onesto
quando ci si impiccò.



[1]
· In questa poesia è evidente come anche dalle atmosfere
più liriche Trilussa sappia trarre un finale ironico.

ìL'INCONTENTABBILITA'


Iddio pijò la fanga dar pantano,
formò un pupazzo e je soffiò sur viso.
Er pupazzo se mosse a l'improviso
e venne fòra subbito er cristiano
ch'aperse l'occhi e se trovò ner monno
com'uno che se sveja da un gran sonno.

-- Quello che vedi è tuo -- je disse Idddio --
e lo potrai sfruttà come te pare:
te do tutta la Terra e tutt'er Mare,
meno ch'er Celo, perché quello è mio...
-- Peccato! -- disse Adamo -- È tanto bello...
Perché nun m'arigali puro quello?

L'INCONTENTABILITA' [1]


Dio prese il fango dal pantano
modellò un pupazzo e gli soffiò sul viso.
Il pupazzo si mosse all'improvviso
e venne fuori subito l'uomo
che aprì gli occhi e si trovò nel mondo
come uno che si svegli da un gran sonno.

-- Quello che vedi è tuo -- gli disse DDio --
e lo potrai sfruttare come ti pare:
ti do tutta la Terra e tutto il Mare,
meno che il Cielo, perché quello è mio...
-- Peccato! -- disse Adamo -- È tanto bello...
Perché non mi regali anche quello?


[1] · Questa poesia, per il tema trattato e per la brillantezza dei
protagonisti, ricorda i sonetti biblici di G.G.Belli.

FELICITA'


C'è un'ape che se posa
su un bottone de rosa:
lo succhia e se ne va...
Tutto sommato, la felicità
è una piccola cosa.

 FELICITA'


C'è un'ape che si posa
su un bocciolo di rosa:
lo succhia e se ne va...
Tutto sommato, la felicità
è una piccola cosa.

LA POESIA


Appena se ne va l'urtima stella
e diventa più pallida la luna
c'è un Merlo che me becca una per una
tutte le rose de la finestrella:
s'agguatta fra li rami de la pianta,
sgrulla la guazza, s'arinfresca e canta.

L'antra matina scesi giù dar letto
co' l'idea de vedello da vicino,
e er Merlo furbo che capì el latino
spalancò l'ale e se n'annò sur tetto.
-- Scemo! -- je dissi -- Nun t'acchiapppo mica...--
E je buttai du' pezzi de mollica.

-- Nun è -- rispose er Merlo -- che nunn ciabbia
fiducia in te, ché invece me
ne fido:
lo so che nu m'infili in uno spido,
lo so che nun me chiudi in una gabbia:
ma sei poeta, e la paura mia
è che me schiaffi in una poesia.

È un pezzo che ce scocci co' li trilli!
Per te, l'ucelli, fanno solo questo:
chiucchiù, ciccì, pipì... Te pare onesto
de facce fa la parte d'imbecilli
senza capì nemmanco una parola
de quello che ce sorte da la gola?

Nove vorte su dieci er cinguettio
che te consola e t'arillegra er core
nun è pe' gnente er canto de l'amore
o l'inno ar sole, o la
preghiera a Dio:
ma solamente la soddisfazzione
d'avè fatto una bona diggestione.

LA POESIA


Appena se ne va l'ultima stella
e diventa più pallida la luna
c'è un Merlo che mi becca ad una ad una
tutte le rose della finestrella:
si nasconde fra i rami della pianta,
scrolla la rugiada, si rinfresca e canta.

L'altra mattina scesi dal letto
con l'idea di vederlo da vicino,
e il Merlo furbo che intuì la mia intenzione
spalancò le ali e se ne andò sul tetto.
-- Scemo! -- gli dissi -- Non ti acchiaappo mica...--
E gli buttai due pezzi di mollica.

-- Non è -- rispose il Merlo -- che nonn abbia
fiducia in te, perché invece mi fido
:
lo so che non mi infili ad uno spiedo,
lo so che non mi chiudi in una gabbia:
ma sei poeta, e la paura mia
è che mi metta in una poesia.

È un pezzo che ci annoî con i trilli!
Per te, gli ucelli, fanno solo questo:
chiucchiù, ciccì, pipì... Ti sembra onesto
di farci far la parte d'imbecilli
senza capire nemmeno una parola
di quello che ci esce dalla gola?

Nove volte su dieci il cinguettio
che ti consola e ti rallegra il cuore
non è affatto il canto dell'amore
o l'inno al sole, o la preghiera a Dio:
ma solamente
la soddisfazione
d'aver fatto una buona digestione.

AVARIZZIA


Ho conosciuto un vecchio
ricco, ma avaro: avaro a un punto tale
che guarda li quatrini ne lo specchio
pe' vede raddoppiato er capitale.

Allora dice: -- Quelli li do via
perché ce faccio la beneficenza;
ma questi me li tengo pe' prudenza... --
E li ripone ne la scrivania.

 AVARIZIA [1]


Ho conosciuto un vecchio
ricco, ma avaro: avaro a un punto tale
che guarda i soldi nello specchio
per veder raddoppiato il capitale.

Allora dice: -- Quelli li do via
perché ci faccio la beneficenza;
ma questi me li tengo per prudenza... --
E li ripone nella scrivania.


[1] - Questa breve poesia assieme alle tre seguenti fanno
parte di una raccolta chiamata
"I sette peccati".

INVIDIA


Su li stessi scalini de la chiesa
c'è uno sciancato co' la bussoletta
e una vecchia co' la mano stesa.

Ogni minuto lo sciancato dice:
-- Moveteve a pietà d'un infelice
che so' tre giorni che nun ha magnato... --
E la vecchia barbotta: -- Esaggerato!

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Sugli stessi scalini della chiesa
c'è uno storpio con la bussoletta
e una vecchia con la mano stesa.

Ogni minuto lo sciancato dice:
-- Muovetevi a pietà d'un infelice
che son tre giorni che non ha mangiato... --
E la vecchia borbotta: -- Esagerato!